A cura di Luca Pasquarelli
Viviamo in un mondo che non può più fare a meno di vederci connessi a internet: cellulare, email, Facebook, Twitter. L’uso massiccio della rete è solo un nuovo, potentissimo mezzo per comunicare, o può essere il segnale che qualcosa non va?
Sicuramente internet permette di colmare grandi distanze in pochi secondi, diventando un utilissimo strumento per scambiarsi notizie, e quando è ben usato è un fantastico mezzo per aumentare la produttività individuale e aziendale. Ma sono molti i racconti di persone che si sono isolate dal mondo, a causa degli eccessi nell’uso del pc, della navigazione, del social networking. Se è vero che si tratta solitamente di casi isolati e, spesso, di soggetti che già avevano delle debolezze psicologiche pregresse, i dati che emergono dalle ricerche più recenti sembrano suggerire che il nostro stile di vita virtuale, sempre connesso, sempre più “sociale”, e sempre più intrusivo possa portarci non solo all’isolamento, ma anche alla depressione, all’ansia e allo sviluppo di veri e propri disturbi mentali.
Il moderno stile di vita sempre “connesso” ci può sembrare normale, ma questo non vuol dire che sia effettivamente sano o sostenibile. Molti di noi fissano uno schermo, piccolo o grande che sia, per più di otto ore al giorno. Mandiamo in media 400 messaggi al mese, ma gli adolescenti possono arrivare anche a 3700. E spesso iniziamo ancora prima di svegliarci, quando ancora siamo stesi a letto. Perché allora usiamo internet per un tempo superiore a quello che dedichiamo al sonno o a qualsiasi altra attività della giornata?
Peter Whybrow, il direttore dell’Istituto Semel di neuroscienza e comportamento umano dell’Università della California, è stato intervistato questa estate dal giornalista di Newsweek Tony Dokoupil e ha sostenuto che il computer “è come una forma di cocaina elettronica”. Questo perché spinge a comportamenti che ci rendono ansiosi e incoraggia le ossessioni e la dipendenza. Ogni nuova notifica che appare sul telefono o sul PC è un’occasione lavorativa, sociale, sessuale. Talvolta siamo in trepidante attesa di un cenno dall’altro, di una risposta. Vedere il messaggio e rispondere significa ottenere una piccola gratificazione. Queste piccole gratificazioni rinforzano il meccanismo della compulsione, così che attendiamo con ancora più ansia la prossima occasione di ottenere un po’ di piacere, di sentire il brivido alla fine dell’attesa. Non è un caso che la nuova versione del “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali”, il libro che contiene la classificazione dei principali disturbi psichiatrici e psicologici, conterrà per la prima volta in via sperimentale i disturbi da “dipendenza da internet”. Ricordiamo che nelle prime ricerche la dipendenza era riconosciuta con un uso della rete che superasse le 38 ore settimanali. Molti di noi esauriscono quelle 38 ore in meno di tre giorni. Ma internet è davvero come una droga?
Il grosso problema è proprio che questi eccessi possono colpire chiunque, anche chi non ha storie di comportamenti a rischio o abusi di altre sostanze. Ma gli effetti sul cervello di un eccesso di internet sono molto simili a quelli dell’abuso di alcol o droghe. Le aree normalmente dedicate al ragionamento, all’attenzione, e al controllo sono sostituite da cellule nervose più utili per la rapidità e l’azione impulsiva. Abusare di internet ci fa quindi perdere la capacità di prestare attenzione e di controllare adeguatamente il nostro comportamento. Gli esempi, in tempi recenti, sono numerosi ed incredibili. Nel 2010, una coppia sudcoreana ha lasciato morire il proprio figlio di fame perché troppo impegnata nel crescere un bambino virtuale. Sempre nel 2010, una ricerca svolta tra gli studenti dell’università del Maryland ha rilevato che una disconnessione di 24 ore da qualsiasi tecnologia mobile faceva emergere un preoccupante quadro in cui tra i termini più usati c’erano “dipendenza” e “droga”. Due ricerche di questo tipo non sono nemmeno iniziate per la mancanza di volontari. Un’altra ricerca di Larry Rosen ha trovato che la maggior parte degli intervistati sotto i 50 anni controllavano sms, email e social network “ogni quarto d’ora” o “continuamente”. Alcuni addirittura non permettevano a nessuno di toccare il proprio cellulare. Ma facciamo un esempio ancora più interessante: vi è mai capitato di percepire il vostro telefono vibrare anche quando non lo ha fatto? Avete provato quello che i ricercatori del Massachusetts Baystate Medical Center chiamano “Sindrome della vibrazione fantasma”.
Ma l’eccesso di internet porta anche alla riduzione del tempo dedicato al sonno, all’attività fisica e alle interazioni faccia a faccia. Non è però un problema esclusivamente legato al tempo. Pensiamo ai casi di cyber-bullismo o anche solo alle situazioni in cui sono stati pubblicati una foto o un messaggio che era meglio rimanessero offline. Le esperienze interpersonali su internet sono spesso negative, imbarazzanti, mortificanti. Il profilo diventa un’ossessione e ci sentiamo definiti da quello che mettiamo online: apparire come si “deve”, farsi piacere le cose giuste, dire quello che gli altri vogliono sentire. E’ difficile stabilire se internet sia la causa di questi disturbi o se chi è predisposto a questi problemi scelga di immergersi nella rete. Quello che è certo è che l’abuso, specialmente quello “sociale”, produce una serie di pressioni, di ansie o di esperienze negative che possono sfociare nella depressione, nello stress, in pensieri suicidi o in un vero e proprio distaccamento dal mondo. La psicologa Sherry Turkle riporta nel suo libro Insieme ma soli le parole di un ragazzo per cui la vita è solo “un’altra finestra”, di solito “nemmeno la migliore”.
Questo non significa che dobbiamo smettere di usare internet, al giorno d’oggi sarebbe impensabile. Ma è necessario essere consapevoli dei rischi che può nascondere e sapere come usarlo con maggiore consapevolezza. Spegnendo ogni tanto il telefono e dimenticandoci delle vibrazioni, reali o immaginarie.