A cura di Chiara Menescalchi

Quando nasce un bambino, i genitori spesso attraversano un periodo di difficoltà. Nessuno ha insegnato loro come accudire un figlio, come lavarlo, come allattarlo né come consolarlo; anzi forse è il primo neonato che vedono, il primo che tengono davvero in braccio. La genitorialità di oggi è nel segno della solitudine, dell’assenza di radici e di legami. Le famiglie, magari lontano dalla propria città d’origine, si isolano in una felicità tutta privata, per nulla aperta al sociale e alla condivisione. Non che in tutto il mondo sia così: in Africa, ad esempio, la gravidanza è sociale. Le donne del villaggio seguono la donna, la accudiscono, la proteggono. Le radici di quella madre sono profonde, nel compagno, nelle donne della tribù e nella comunità tutta: Per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio, dice un proverbio africano.

Da noi invece, le mamme e i papà che incontrano per la prima volta il proprio figlio sono alla prova con qualcosa di grande, molto più grande di loro. Sono terrorizzati e sentono di avere le spalle scoperte… Le loro armi sono deposte, brancolano nel buio: avvertono il bisogno di una guida, prestando ascolto ai pareri di chiunque, davvero chiunque. C’è chi si affida ai consigli dei manuali sull’infanzia e sulla genitorialità, tematiche che oggi reggono da sole le case editrici; chi invece si affida ai consigli delle nonne, dei genitori, delle suocere o anche solo della signora incontrata sul tram.

La giovane mamma troppo spesso è vista come sprovveduta. Tutti faranno a gara a chi dà il consiglio più azzeccato, svilendo magari i tentativi autonomi di una donna che si mette in gioco con la maternità. Se i consigli piombano come massi sulla donna, che si trova naturalmente dopo il parto in un momento di fragilità, il suo senso di colpa la farà sentire inadatta sarà il sasso che la stroncherà. Non seguirà più il suo istinto, non ascolterà più i segnali del suo bambino, ma, cieca, si affiderà al “si fa così” senza domandarsi neppure il perché.

Ma non ci si deve perdere d’animo perché la psicologia perinatale può venire in aiuto.

La psicologia perinatale si occupa delle esperienze del neonato e di migliorare la sua relazione con i genitori e in generale con l’ambiente in cui vive; accompagna i genitori verso una genitorialità consapevole, sia quando si progetta una gravidanza sia quando il bambino è già tra noi. “La psicologia perinatale si occupa in specifico della perinatalità psichica e delle problematiche connesse e sottese alle vicissitudini del progetto gestazionale e genitoriale” spiega  Imbasciati (2010), nella fisiologia come nella patologia. La psicologia perinatale gode dello scambio proficuo tra competenze specifiche e professionisti sempre aggiornati, quali ginecologhe, ostetriche, pediatri, psicologhe e neuroscienziati. Le tematiche toccano diverse facce dell’essere genitore: il concepimento, i vissuti psichici della gravidanza, la procreazione medicalmente assistita, il parto, il lutto perinatale, l’allattamento, il sonno del neonato, solo per menzionarne alcuni.

Ci si affida alla scienza, alle ricerche empiriche, alle neuroscienze per conoscere ciò che aiuta lo sviluppo armonico di un genitore e di suo figlio, senza  dover più cadere nelle trappole del marketing o della suocera, senza dar più credito a dicerie e consigli retrogradi (“Lascialo piangere quanto vuole…prima o poi si addormenterà”). Finalmente si potrà dire un secco “no, grazie” assertivo a chiunque vi consigli di non dare sempre il seno, di far voi donne da sole, di non gravare sul marito… “in fin dei conti ci siamo passate tutte; non sarai né la prima né l’ultima”. Mamme avete il diritto di ribellarvi alla tirannia delle suocere.

  • T. Berry Brazelton, “Nascita di una famiglia”, Ed. Unicopli, 1987.
  • A. Imbasciati, L. Cena, “Psicologia clinica perinatale nei difficili precorsi della filiazione pretermine”, Nascere, 2010, 111, 9-16.
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