A cura di Alessandra Giacumbo
PROMEMORIA
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte,
né per mare né per terra:
per esempio la guerra.
Gianni Rodari (2003)
Con poche e semplici parole, Gianni Rodari spiega al suo pubblico preferito, i bambini, cosa si dovrebbe e non si dovrebbe fare. Non c’è tempo né luogo (e né motivazione) che possa mai giustificare il verificarsi della guerra; eppure, nella storia dell’umanità, continuiamo a vedere molti conflitti protrarsi e altri iniziare.
Già dopo la Prima Guerra mondiale, la psichiatria ha cercato di approfondire le conseguenze della guerra sul benessere psicofisico di chi vi prendeva parte. A proposito delle conseguenze psicologiche, soprattutto nei militari che facevano ritorno dal fronte vi erano evidenti difficoltà. Le denominazioni sono state molteplici: a partire dalla “febbre delle trincee” che ha caratterizzato i primi conflitti, passando per la “nevrosi traumatica” o “sindrome del Vietnam”, che riprendeva il luogo del conflitto stesso. È a partire dal 1980 che viene coniata l’espressione “disturbo da stress post-traumatico” e inserita nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (meglio noto come Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, DSM) redatto dall’American Psychiatric Association (APA).
Nella quinta edizione del DSM (2013), troviamo il disturbo post-traumatico da stress all’interno dei Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti, con una serie di criteri che aiutano a stabilirne la diagnosi. Al di là dell’accertamento diagnostico di tale disturbo, ciò che colpisce sono i vissuti e i sintomi altamente intrusivi e disturbanti riscontrabili nei reduci di guerra.
Non c’è dubbio che costituiscano un trauma l’esposizione a una situazione in cui si rischia la propria vita, assistere alla morte di altre persone e vivere in vista di un costante e possibile pericolo,. Dopo tale esposizione, si potranno riscontrare sintomi da evitamento circa gli stimoli, i luoghi o le persone che potrebbero elicitare aspetti legati all’evento traumatico, fino a condizionare notevolmente la vita della persona interessata.
Per quanto i militari possano superare il periodo della guerra, è spesso dopo il loro rientro a casa che si riscontrano alterazioni negative di pensieri ed emozioni proprio in riferimento alla guerra stessa, così come un’anomala attivazione e reattività a eventi pressoché neutri. Non sono rari, poi, i sensi di colpa per essere sopravvissuti, per aver avuto la possibilità di tornare dalle proprie famiglie, a differenza di molti compagni.
Non basta allontanarsi dai luoghi di combattimento per lasciarsi alle spalle ciò che è accaduto. Infatti, i ricordi intrusivi e ricorrenti, gli incubi e le allucinazioni circa gli eventi bellici, continuano a essere intrusivi nella mente degli ex soldati, non permettendo loro di vivere il presente e di distaccarsi da quanto di terribile hanno dovuto affrontare.
Accanto ai reduci di guerra vi sono familiari e amici che spesso riferiscono l’impressione che il loro caro non sia davvero tornato, perché la sua mente è ancora altrove, in balia del terrore e della sofferenza che è stata ed è la guerra.
SAN MARTINO DEL CARSO
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
Ungaretti (1916)
BIBLIOGRAFIA
American Psychiatric Association (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta edizione. DSM-5. Tr.it.
G. Rodari (2003). “Promemoria”. Raccolta di poesie sulla Pace. Oca Blu: Omegna.
G. Ungaretti (1916). “San Martino del Carso”. Raccolta di poesie Porto Sepolto. Stabilimento Tipografico Friulano: Udine.